L’etimologia latina del suo nome ricorda che una piccola porta (portula) chiude la pisside contenente i piccolissimi semi e che è una pianta di uso alimentare (oleracea) ma solo per i porci, come ricorda l’appellativo volgare di Porcellana… O anche per gli umani?
Il Mahatma Gandhi la adorava e per Henry Thoreau è stato un ottimo pasto gratuito e facilmente reperibile, ampiamente raccontato nel suo “Walden, o la vita nei boschi”.
Persiani e Indiani se ne cibavano e ne consumano ancora abitualmente: gli Arabi invece la fecero conoscere al mondo occidentale attorno al XV° secolo.
Nell’antica Grecia era nota ai più… e ai giorni nostri? Pare che sia un ingrediente indispensabile per la vera insalata greca: l’Andrakla o Glystrida – così chiamata dagli ellenici – preventivamente fritta, viene aggiunta a pomodori, feta, cipolla, origano e aglio, il tutto condito con abbondante olio extra-vergine.
A casa nostra invece?
In pochissimi la utilizzano! E dire che la si trova abbondantemente e facilmente tra le fessure dei marciapiedi, negli incolti e negli orti, per tutta l’estate! Ma per i più è considerata infestante e “testarda” perché non è facile da debellare! I suoi piccoli semi, infatti, resistono nel terreno per decenni, sempre pronti a germinare ai primi caldi… e così viene estirpata non appena appare con i suoi gambi rossastri, le foglie verde brillante, carnose, croccanti e succose… e quindi gettata!
Sarebbe un peccato non assaggiarne il sapore acidulo e vagamente salato che ben si sposa con i pomodori in insalata o con semplici patate cotte al vapore o lessate. Ripassata in padella sostituisce egregiamente i classici spinaci, diventando ingrediente di svariate ricette.
Se solo pensassimo che è una tra le piante più nutrienti al mondo! Contiene vitamine A,B,C,E, molti sali minerali, ma soprattutto anti-ossidanti e acidi grassi omega 3 – quelli dell’olio di fegato di merluzzo – difficilmente reperibili nei vegetali.
Non ci resta che provare a staccare qualche “gambuccio” con le sue foglioline grassocce, preferibilmente non la mattina presto o la sera quando, per un particolare processo di fotosintesi, una più alta concentrazione di acido malico e ossalico, la renderebbe più aspra. Coglietela in pieno giorno!
Dopo averla ben lavata, la si può consumare cruda o cotta.
I suoi minuscoli semi vengono utilizzati in alcune parti del mondo in aggiunta all’impasto del pane o per confezionare dolci oppure come fosse polvere di tè, per infusi alternativi.
Unico avvertimento rivolto a chi soffre di calcoli renali o gotta: così come per gli spinaci, l’amaranto, il rabarbaro, etc. anche la Portulaca va consumata saltuariamente e in piccole dosi per la presenza di ossalati di calcio.
Tutti invece potrebbero provarne i benefici applicando sulla pelle impura una sorta di crema ottenuta frullando Portulaca, olio extra-vergine d’oliva e acqua. Lasciare in posa 15 minuti e quindi sciacquare.