di Britombar
fonte: Guida ai Misteri e Segreti della Brianza, Sugar Editore (1970)
Nella nostra Brianza sin dall’antichità il vincolo del matrimonio veniva suggellato con anelli, da portarsi all’anulare, “perché ivi è la vena che porta dritto al cuore”. La donna portava con sé la “dote” nel prendere marito, anche se esisteva un preciso decalogo di cosa era possibile portare con sé e cosa no. Per ogni extra era prevista un’ammenda pecuniaria: evidentemente già allora i governanti sapevano bene come colpire sul vivo il brianzolo. Curiosamente la lista non faceva riferimento al valore dei beni, ma indicava precisamente la quantità di oggetti che era consentito portare: ad esempio, era lecito inserire nella dote fino a un massimo di sei asciugacapo (ma non uno di più!), sei camicie e una tovaglia (che al massimo misurasse 12 braccia). Allora come oggi, superato il fioccar di “benìs” (anche se qui pare fossero proprio confetti e non riso), ci si sedeva a tavola per il pranzo di matrimonio, dove però gli ospiti di minor importanza non solo si pagavano il pranzo, ma si portavano via gli avanzi. Al pranzo seguivano canti e balli, prima che la sposa posasse il velo sul primo letto nuziale.