È una pianta di origine antichissima, cugina delle felci, e come loro non presenta fiori o frutti, ma fusti fertili primaverili simili ad asparagi di colore pallido brunastro con una spiga gialliccia apicale (strobilo), che contiene le spore per la riproduzione. I fusti sterili verdi, cavi, quasi delle piccole conifere piramidali, somiglianti a code di cavallo (da cui il nome) spuntano quando quelli fertili seccano e scompaiono. L’ equiseto è conosciuto per l’alta concentrazione di minerali, tanto da essere chiamato dagli antichi Romani e dai Greci “argilla vegetale”. Fino a qualche decennio fà la polvere ottenuta dai fusti sterili essiccati, ricchissimi di silice, veniva utilizzata per pulire e lucidare legno, metallo e pentolame. In alternativa fasci di fusti sterili freschi possono essere utilizzati come teli abrasivi. Per l’utilizzo della “droga” ottenuta sempre dai fusti sterili, rimineralizzante e diuretica, meglio affidarsi ad esperti erboristi per rispettare il dosaggio ottimale. I fusti fertili primaverili, riconoscibili dalla guaina incisa da 6-8 “denti” che li riveste in prossimità degli internodi, possono essere consumati, dopo averli ben lavati, averne eliminato le guaine e la spiga apicale (strobilo), lasciati macerare per qualche ora in acqua e limone, poi lessati in acqua salata e lasciati scolare ben bene. Attenzione a non confondere l’Equisetum Arvense, che solitamente predilige terreni argillosi e asciutti in superficie, dall’Equisetum Palustre che popola acquitrini e zone percorse da corsi d’acqua, ma anche dal Pratense e dal Sylvaticum che sono tossici.